Un progetto lungo nove anni non è bastato a offrire una edizione “riveduta e corretta” della Biancaneve disneyana datata 1937. Peraltro era poco probabile che un tale successo potesse coniugarsi in maniera indolore con un rifacimento così ambizioso. Alla ricerca spasmodica di una inclusività eccessiva e quasi ossessionato dal “politicamente corretto” l’ultimo live- action di casa Disney arranca e non poco al botteghino, negli States ancora più che da noi. Qualcuno l’ha già definito il film più chiacchierato di sempre. Gli spunti, in realtà, sono davvero molteplici.
Molti riguardano il racconto, altri le protagoniste, alcuni addirittura la Storia (triste, per la verità) attualissima dei giorni nostri. Così che già il titolo “stringe” sulla sola Biancaneve, ignorando i Sette Nani che nella favola sono un tutt’uno con la protagonista. Non solo, e qui la scelta appare quanto meno forzata: gli amici della Principessa infatti non sono in carne e ossa ma semplici e freddi effetti visivi (anche piuttosto brutti) generati al computer con la tecnica CGI. Il Principe azzurro invece manca del tutto. Al suo posto uno scaltro giovanotto ribelle, spesso autore di piccoli furti, a tratti ricorda Robin Hood, che lotta per il ritorno del re cui usurpò il trono la regina matrigna Grimilde.
Poi ci sono le polemiche, ancora più incisive queste, che riguardano più da vicino la produzione e la sceneggiatura. La scelta della protagonista è una di queste. Rachel Zegler è una Biancaneve ventitreenne di origini colombiane. Poteva mai avere, la giovane interprete, la pelle bianca come la neve descritta nella fiaba dei fratelli Grimm? Certo che no, si direbbe. E allora, che si cambi la sceneggiatura: quando era ancora neonata la principessa, è proprio la Zegler che spiega la variazione in corso d’opera, riuscì a resistere a una violenta tempesta di neve.
Fu solo allora che il re e la regina, in omaggio alla sua resilienza, ne decisero il nome. Pasticcia alquanto Erin Cressida Wilson che ha firmato la sceneggiatura. E non è questo particolare l’unica pecca. Il film in effetti parte col chiaro intento di proporre i Grimm in chiave moderna, elemento più che giustificato visto che quasi un secolo è trascorso dal primo lungometraggio di Walt Disney. Con occhio attento però colpisce, in negativo, l’ambizione, che diventa presunzione, nel voler cambiare l’essenza stessa del racconto quasi a snaturarne la delicatezza e la dolcezza originarie.
Insomma si ha come l’impressione che il remake osi un po’ troppo e sconfini su un soggetto quasi posticcio, o comunque preoccupato di “includere” ad ogni costo e di apparire “corretto”. Per fortuna, dovremmo dire, rimangono intatti alcuni capisaldi coniati dai fratelli tedeschi. Integro dunque lo specchio rivelatore e intatta pure la trasformazione della cattiva Grimilde in vecchia strega con tanto di artigli. Resistono le ombre dei nani nella miniera e persino gli alberi del bosco, quando Biancaneve scappa, trasmettono uguale paura. Ma stride un po’ tutto il resto.
Le due protagoniste (oltre la Zegler c’è la bella Gal Gadot nelle vesti della regina cattiva) ingaggiano, loro malgrado, una gara di bellezza nella quale sembra prevalere la strega Gadot ma dalla parte della Zegler Biancaneve gioca una bellezza tutta interiore, vista la dolcezza del personaggio interpretato. Più serio appare il motivo che le divide (ma usiamo un eufemismo) quando sono lontane dal set. Nella delicatissima questione israelo-palestinese sono esattamente agli antipodi. Pro Palestina la Zegler (che su X posta “ricordate, sempre free Palestine”), orgogliosamente israeliana Gal Gadot che senza esitazione posta “dobbiamo riportare a casa gli ostaggi, tutti” senza il minimo pensiero per i bambini uccisi a Gaza.
Tornando ai personaggi, secondo alcuni critici la nuova Biancaneve sarebbe l’espressione di un ideale socialista che si contrappone, per questo, alla presa di potere fascista della matrigna auspicando in tal modo un ritorno all’età dell’oro. Insomma potrebbe somigliare finanche a un’attivista politica, soprattutto una principessa che si salva da sola, autonoma e indipendente. E qua, come dicevamo, il film mostra i propri limiti abbandonando inesorabilmente quelle note romantiche che pure dovevano esserci ma che alla fine latitano. Ci piace chiudere con una considerazione addirittura lapalissiana. Si perché, quasi sempre, è successo che quando alla Disney si sceglie la forma del live-action i risultati deludono, e non poco. Segno evidente che l’operazione non è delle più semplici.