È un racconto nel racconto quello che Roberto Andò propone nella sua decima fatica cinematografica: lo   stratagemma della “Colonna Orsini”, escogitato per agevolare la presa di Palermo, è l’episodio cruciale dell’impresa dei Mille garibaldini in terra di Sicilia. Un film storico, dunque, ma anche in parte “comico”, come vedremo, col quale il regista palermitano legge il Risorgimento Italiano da una prospettiva insolita, diremmo controcorrente, ben sapendo di toccare un argomento controverso, da sempre divisivo nell’opinione pubblica. Andò, lo diciamo subito, ne esce in maniera determinata e per questo convincente.

Con una narrazione che si discosta da quella, per così dire, scolastica e che lascia più di un dubbio allo spettatore, e non solo, su quello che è stato il periodo chiave della Storia dell’Unità d’Italia. Che tutto avrebbe cambiato ma che ogni cosa ha lasciato immutata. (Della cosiddetta “questione meridionale”, figlia diretta di quel momento storico, si parla ancora oggi, invano). Da qui il titolo, “L’abbaglio”. Anche qui, come ne “La stranezza”, si rappresentano fatti e personaggi storici, insieme a figure di pura fantasia. Gli interpreti, almeno i principali, sono gli stessi del film ispirato a Pirandello. Dunque, confermato lo strano trio Ficarra-Picone-Servillo.

Si sa che squadra che vince non si tocca. Toni Servillo, ormai presenza imprescindibile sui set di Andò, è un impeccabile e austero Vincenzo Orsini, il colonnello che, di concerto con Garibaldi, si presta ad ingannare l’esercito regio con un manipolo di uomini raffazzonati per lo più tra i picciotti volontari. Ottimi anche Salvatore Ficarra e Valentino Picone che si confermano, lo fanno già da tempo, attori versatili, non necessariamente comici. Il primo nelle vesti di Domenico Tricò, un contadino, esperto fuochista, emigrato al nord, il secondo in quelle di Rosario Spitale, un imbroglione dedito al gioco che si finge veneto. Entrambi si arruolano tra i Mille con l’unico desiderio di tornare nella natìa Sicilia.

Per questo disertano, appena sbarcati a Marsala. I due, che per questa ragione Orsini definisce impostori, verranno acciuffati e, al punto di apparire finanche vigliacchi, saranno determinanti proprio in quella “colonna”, piuttosto rischiosa (quasi suicida), cui si accennava. Deviando verso Corleone, quasi scappando, diedero la sensazione che stessero battendo in ritirata. Un’esca perfetta. Le forze borboniche abboccarono piuttosto ingenuamente, credendo fossero le poche Camicie Rosse superstiti. Spianando, di fatto, a Garibaldi e ai suoi, la strada per la conquista di Palermo.

Tra i momenti spassosi del film, c’è quello in cui i due comici siciliani si ritrovano in un convento di suore, una di queste è Giulia, la figlia del regista. Massimo Gaudioso, Ugo Chiti e lo stesso Roberto Andò firmano ancora una volta la sceneggiatura. Che nella parte finale, quando saranno passati venti anni da quello storico 1860, giustifica il titolo del film con una frase lapidaria dello stesso protagonista. Il colonnello Orsini, deluso, e forse mai convinto di quel processo storico, dirà con rammarico “Povera Italia, che abbaglio che hai preso!“. Il film, uscito nelle sale a metà gennaio, dura più di due ore e sembra sia costato diciotto milioni di euro. Una parte della critica l’ha definito un Kolossal.